Archivio mensile Maggio 2021

DiDEEP BUSINESS

D. Lgs. 231/2001 – Il sistema sanzionatorio

Il quadro della disciplina e le tipologie di sanzioni previste dal Decreto

Anche nei confronti degli Enti responsabili, così come nei confronti di chi commette i reati, buona parte del ruolo di prevenzione viene svolto dal sistema sanzionatorio.

Nel caso degli Enti, a differenza che per le persone loro sottoposte, le sanzioni sono statuite dallo stesso Decreto 231.

L’Ente responsabile per un reato commesso da un soggetto appartenente alla sua struttura organizzativa può essere condannato con una delle seguenti sanzioni:

  • sanzioni amministrative come la sanzione pecuniaria;
  • sanzioni interdittive o, alternativamente, la nomina di un commissario giudiziale;
  • la confisca;
  • pubblicazione della sentenza di condanna;

Per quanto riguarda le sanzioni amministrative, l’art. 10 del Decreto sancisce che per l’illecito dipendente da reato si applica sempre la sanzione pecuniaria e che per la sua determinazione il Giudice fa riferimento al meccanismo delle quote che si articola in due parametri:

  • determinazione dell’ammontare del numero delle quote;
  • determinazione del valore monetario della singola quota, calcolato sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali della persona giuridica chiamata a rispondere.

Le sanzioni interdittive comportano una limitazione temporanea (non inferiore a tre mesi e non superiore a due anni) dell’esercizio di una facoltà o di un diritto legato all’attività di impresa dell’Ente. Ai sensi dell’art. 13 del Decreto, esse si applicano in relazione ai reati per i quali sono espressamente previste e quando ricorre almeno una delle seguenti condizioni:

  • l’Ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità e il reato è stato commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti sottoposti all’altrui direzione;
  • in caso di reiterazione degli illeciti.

Un’alternativa alla sanzione interdittiva può essere la nomina da parte del Giudice di un commissario. L’art. 15 del Decreto dispone infatti che in luogo dell’interruzione temporanea dell’attività può essere disposto il commissariamento dell’Ente ma solo se sussiste una delle seguenti condizioni:

  • l’Ente svolge un pubblico servizio o un servizio di pubblica utilità la cui interruzione potrebbe provocare un grave pregiudizio alla collettività;
  • l’interruzione dell’attività dell’Ente può provocare, tenuto conto delle sue dimensioni e delle condizioni economiche del territorio in cui è situato, rilevanti ripercussioni sull’occupazione.

In ordine alla confisca, l’art. 19 del Decreto stabilisce che nei confronti dell’Ente è sempre disposta, con sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato.

In ultima analisi, l’art. 18 del Decreto stabilisce che la pubblicazione della sentenza di condanna può essere disposta quando nei confronti dell’Ente viene applicata una sanzione interdittiva; tale sanzione amministrativa ha un carattere accessorio in quanto la sua applicazione può avvenire solo contestualmente a una sanzione amministrativa ed è adottata in base alla discrezionalità del Giudice. La pubblicazione della sentenza di condanna opera nei casi più gravi come pubblicità denigratoria nei confronti dell’Ente responsabile.

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L’adozione e l’attuazione del Modello Organizzativo ex D. Lgs. 231/2001

In cosa consiste adottare ed attuare un MOG?

Adottare e attuare un Modello Organizzativo efficace vuol dire progettare ed applicare un meccanismo basato sul contemporaneo esercizio di delega e controllo, ovvero di direzione e vigilanza che possa:

  • PREVENIRE la commissione dei reati;
  • CONTROLLARE il comportamento dei soggetti a rischio;
  • DIMOSTRARE l’estraneità dell’Organizzazione rispetto ai fatti commessi dagli apicali;
  • RESISTERE alla presunzione di responsabilità avanzata dal Pubblico Ministero nel caso di reati commessi dai sottoposti (se il Modello è esteso anche ai sottoposti);

I passi logici per la costruzione ed implementazione del MOG si basano sulla sequenza delle prescrizioni di cui agli artt. 5, 6 e 7 del D. Lgs. 231/2001 e devono partire da una doverosa sessione di risk assessment, ovvero di attività di analisi volta alla determinazione e delimitazione delle aree di rischio potenziale e delle aree critiche sulle quali deve maggiormente focalizzarsi il rischio stesso.

Le attività per realizzare un Modello Organizzativo “231” saranno quindi:

  • Organizzare una sessione di risk assessment;
  • Progettare e costruire di conseguenza il Modello Organizzativo (adozione);
  • Implementare il Modello (attuazione);

Sommariamente, relativamente alle caratteristiche delle 3 fasi sopra elencate, si può affermare che:

  • l’attività di risk assessment è composta dall’analisi, valutazione e descrizione dei processi aziendali, dall’individuazione degli apicali e dei sottoposti, dall’individuazione dei reati potenziali e da una mappatura complessiva;
  • l’adozione del Modello (ovvero la sua progettazione) passa per attività di Prevenzione (es. adozione di un Codice Etico e di un Sistema Disciplinare) e di Controllo (es. istituzione di Organismo di Vigilanza, garanzia della correttezza dei Flussi Informativi);
  • l’attuazione del Modello (ovvero la sua implementazione) passa attraverso l’esecuzione degli interventi necessari risultanti dal risk assessment e dalla messa in opera sia del sistema di prevenzione che del sistema di controllo.
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D. Lgs. 231/2001 – I requisiti esimenti da responsabilità

La ripartizione dell’onere della prova a seguito della commissione di un reato commesso da parte di un suo soggetto apicale o sottoposto

A seguito della realizzazione di una delle figure criminose di cui al Decreto, l’Ente si deve difendere dimostrando l’esistenza congiunta di tutti i requisiti richiesti con modalità diverse a seconda di chi è stato imputato di reato: apicale o sottoposto.

Nel caso di reato commesso da figura apicale, se l’Ente vuole essere esentato da responsabilità deve dimostrare, con onere della prova a suo carico di:

  • aver adottato un modello organizzativo di prevenzione e controllo;
  • averlo attuato;
  • avere vigilato sul suo funzionamento;
  • che la figura apicale che ha commesso il reato, lo abbia fatto aggirando fraudolentemente il modello organizzativo;
  • che l’Organismo di Vigilanza abbia fatto il suo dovere non attuando comportamenti omissivi o negligenti.

Nel caso invece di un reato commesso da sottoposto di figura apicale, l’Organizzazione non sarà responsabile se la pubblica accusa, con un ribaltamento dell’onere della prova rispetto agli apicali, non riesca a dimostrare che:

  • la commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza da parte degli apicali;
  • se esiste un modello organizzativo che prevede la direzione e la vigilanza da parte degli apicali sui sottoposti, che detto modello non risponda ai criteri di efficienza o che i meccanismi di direzione e vigilanza non abbiano funzionato.
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I requisiti applicativi del D. Lgs. 231/2001

Quali sono gli elementi sulla base dei quali è possibile delineare una responsabilità dell’Organizzazione

Affinché si possa configurare un coinvolgimento dell’Ente per un reato commesso da parte dei suoi amministratori, manager e/o dipendenti, è necessario che siano presenti determinate condizioni, sia soggettive che oggettive.

Le condizioni soggettive riguardano la tipologia di persone e la tipologia di Ente assoggettabile, mentre quelle oggettive concernono la tipologia di reato e la condizione di vantaggio o interesse per l’Ente.

Per quanto riguarda la tipologia di persone, ci si riferisce alle caratteristiche che deve avere il soggetto che commette il reato affinché l’Ente possa essere chiamato ad una qualche responsabilità.

In base ad una stretta interpretazione del Decreto è possibile individuare:

SOGGETTI APICALI

  • figure che sono incaricate dall’Ente come portatrici di deleghe e di potere (soggetti apicali di diritto);
  • figure che, anche se non sono formali portatrici di deleghe e di potere all’interno dell’Ente, si comportano e agiscono come se lo fossero (soggetti apicali di fatto);

SOGGETTI SOTTOPOSTI AGLI APICALI

  • soggetti che, seppur non nelle condizioni di portatori di deleghe formali, sono comunque in grado di commettere reati di cui al Decreto e coinvolgere l’Ente in quanto soggetti a direzione e controllo degli apicali medesimi.

In relazione alla tipologia di Ente assoggettabile è possibile affermare che, in base alla lettura del Decreto, esso si applica di fatto a qualsiasi Ente privato o pubblico con un qualsivoglia interesse privato e che persegua in modo organizzato il fine di realizzazione di un profitto.

Si precisa che l’applicabilità riguarda Enti forniti di personalità giuridica e le società e associazioni anche prive di personalità giuridica.
Restano esclusi lo Stato, gli Enti Pubblici Territoriali, gli altri Enti Pubblici non economici che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.

Passando in rassegna i requisiti oggettivi, per quanto riguarda la tipologia di reati che possono determinare un coinvolgimento dell’Ente ci si rifà direttamente al catalogo di cui al Decreto che ne individua 18 categorie specifiche.

L’altro requisito oggettivo, la condizione di vantaggio o interesse per l’Ente, si sostanzia infine nel fatto che sia necessario che la condotta criminosa dell’individuo sia attuata nell’interesse o a vantaggio dell’Organizzazione.

In termini pratici, l’interesse è una situazione di carattere qualitativo, non misurabile ed esistente ancora prima di commettere il reato.

Il vantaggio, invece. è una condizione quantitativa e si può valutare solo a fatto compiuto, ovvero misurando l’utilità marginale che la condotta criminosa ha procurato all’Ente.

L’alternatività di queste due condizioni lascia poche maglie alla possibilità che l’Ente NON sia chiamato a rispondere per la mancanza di interesse o vantaggio. Questi infatti possono combinarsi in diverse situazioni:

  • il caso in cui ci sia interesse e vantaggio per l’Ente (la progettualità e compimento del reato);
  • il caso in cui sia solo l’interesse per l’Ente (beneficio potenziale nelle intenzioni) senza un vantaggio (misurabile);
  • il caso in cui ci sia solo il vantaggio per l’Ente (utilità marginale) senza che lo stesso sia coinvolto a livello progettuale, ovvero nelle intenzioni.